Nick Dicuonzo, da musicista e fotografo ad arbitro al “Sada” (1a parte)

Tra i fotografi monzesi, di nascita o d’adozione, professionisti o dilettanti, in attività dagli anni Settanta fino alla fine del secolo scorso, il più originale e simpatico di tutti è stato, senza dubbio, Nicola ‘Nick’ Raffaele Dicuonzo, primo di sei figli, venuto alla luce a Potenza, nel magazzino del nonno costruttore edile, nel 1948 e giunto in Brianza con la famiglia nel lontano 1959. Dopo tante perizie, il giovane reporter per passione finì anche ad abitare a Monza in un modesto appartamento al secondo piano di un vecchio palazzo inizio Novecento di Piazza Garibaldi, a un tiro di schioppo dal Tribunale. I suoi genitori, all’arrivo in terra briantea, avevano accettato, per praticità, una precaria sistemazione logistica al piano rialzato di una piccola porzione di una cadente vecchia villa, con camera a cinque letti ricavata addirittura in un ex box per le auto, alla Cascina Rancate, frazione di Concorezzo, nei pressi del ‘Malcantone’, per, poi, trasferirsi a Monza, in zona ‘Molinetto’. Papà Antonio, muratore in una piccola impresa lucana di costruzioni, grazie a delle conoscenze era infatti stato chiamato con altri colleghi a Vimercate, per la realizzazione dell’allora nuovo Ospedale cittadino e le umili dimore di volta in volta scelte sembravano quanto meno comode per gli spostamenti quotidiani. In Brianza, ‘Nick’ frequentò per tre anni il liceo, lo abbandonò per aiutare economicamente la sua numerosa famiglia, studiando poi alle scuole serali, dove prese il diploma magistrale. Riuscì a insegnare, seppure per non molte ore, come supplente e finì, giusto per sbarcare il lunario, a fare una serie di lavori, tra i quali il rappresentante per una nota azienda milanese di patatine, grissini, popcorn e tramezzini, girando in lungo e in largo con il classico camioncino bianco con il logo rosso e giallo sulle fiancate.

 

Custode e bidello presso la Scuola De Amicis di Monza, e il grande hobby della fotografia

 

Infine, vinto un concorso comunale, trovò una soddisfacente occupazione, prima come dipendente dell’ufficio tecnico, poi, come custode della Scuola Primaria Edmondo De Amicis, la più antica di Monza, dove rimase per ben 42 anni, con le mansioni anche del classico bidello, fino al giorno della maturata e meritatissima pensione nel 2015. Molti ricorderanno sicuramente il buon Raffaele, assecondato dalla moglie Mariangela, sorvegliante a tempo pieno, con indosso l’immancabile giacca grigia, con il bavero valorizzato dagli stemmi biancorossi cittadini ai due occhielli, impegnato con i bambini e i loro genitori presso l’edificio scolastico dell’omonima via all’angolo con piazza Matteotti. Saltuariamente, ‘Nick’ veniva anche chiamato dai dirigenti del Comune a sostituire il collega del Palazzo di Giustizia, ubicato pure questo in centro città, vicino alle sponde del fiume Lambro, dove per decenni aveva aperto le sue porte il Seminario di Monza, voluto da San Carlo Borromeo nel XVII secolo. Il vulcanico Dicuonzo, seguace della monarchia, iscritto dal 1967 all’Unione Monarchica Italiana, con tanto di tessera d’appartenenza, aveva e ha tuttora molte passioni, che coltiva con grande interesse, dedizione e grande abilità. Prime fra queste, la fotografia e la musica. Il ‘Sada’, ma anche tanti altri stadi dove il Monza andava a giocare in trasferta, in Serie C e B, lo hanno visto protagonista per decenni con la Rolleiflex in mano. Negli anni Settanta era stato anche nominato fotografo ufficiale dei ‘Fedelissimi biancorossi’, club di tifosi con sede in via Zucchi, presso il Bar Varisco e presieduto da Gianluigi Beretta. “Sono sempre stato attratto fin da ragazzino dalle macchine fotografiche, dai teleobiettivi, dallo sviluppo dei rullini e dalle stampe – ci racconta il loquace Raffaele -. Un giorno il noto reporter Gianfranco Santi venne nei pressi di casa mia per fare un servizio fotografico al vecchio rudere di via Solera, dove oggi è posizionata la nuova Procura. Dall’alto della scuola De Amicis doveva riprendere, per un servizio commissionato dal quotidiano Il Giorno, ciò che era rimasto in piedi del malconcio palazzo, abbandonato per anni fra tante polemiche. Gli offrii di accompagnarlo, lui accettò di buon grado la mia presenza e così, tra uno scatto e l’altro, avemmo la possibilità di scambiare quattro chiacchiere. Subito il discorso scivolò sulla fotografia e sui trucchi del mestiere. Fui tanto estasiato dalle sue parole che iniziai a chiedergli anche qualche utile consiglio in materia. Alla fine del lavoro, Gianfranco Santi mi invitò ad andare a trovarlo nel suo studio di via Camperio e così diventammo presto, buoni amici. Quasi per sdebitarmi della sua squisita disponibilità iniziai anche a fargli dei piaceri e, dopo poco tempo, mi trovai coinvolto in modo consistente nell’attività fotografica del suo studio. Io e lui facevamo scatti da ogni parte, poi sviluppavamo le stampe nella camera oscura del laboratorio e andavamo a consegnarle a mano nelle redazioni dei vari giornali. Fotografie fatte da me allo Stadio Sada, come all’Autodromo e per le vie della città, sono finite un po’ su tutti i media a partire, localmente, da l’Eco di Monza e della Brianza del direttore Brizio Pignacca e, a livello nazionale, da Il Giornale e Il Giorno. Alla morte di Gianfranco Santi nel 2001, quest’ultimo quotidiano milanese mi avrebbe assunto a tempo pieno, come caldeggiato dal giornalista Luciano Mutti, già da tempo alle loro dipendenze, ma io, non volendo proprio abbandonare la scuola ed i miei scolari, non accettai la proposta. L’attività fotografica, con tutti i suoi risvolti, mi piaceva però un sacco. Nel frequentatissimo studio di via Camperio, ebbi anche modo di conoscere diversi giornalisti, diventati col tempo cari amici, come Carlo Gaeta, allora smanioso principiante in cerca dell’occasione buona per iniziare a scrivere articoli da far pubblicare in giro. Poi Enzo Mauri, già corrispondente di Tuttosport e collaboratore del settimanale Regione Express, nonché del mensile Autorama e, soprattutto, Luciano Mutti, redattore de Il Giorno, amante come me della buona musica e capace di destreggiarsi bene sia con la chitarra che con la mitica ‘Lettera 22’. Con lui, dopo qualche anno di frequentazione, scrissi a quattro mani il libro autobiografico ‘Nick Raffaele e i suoi 4.037 scolari’, composto da quasi 300 pagine e tante fotografie di una Monza che fu e che ora è bello ricordare. Per mancanza di finanziamenti, le bozze, pressoché ultimate, restarono nel cassetto di un mio armadio di casa fino al 2017, anno della morte dell’amico cronista. Poi, per mia espressa volontà e per la soddisfazione di una moltitudine di ex studenti della scuola, nonché di parecchi altri monzesi, amanti della storia della propria città, il volume prese forma e fu finalmente pubblicato.’’.

 

(Fine prima parte)

 

Enzo Mauri

 

Nella foto: Nick Dicuonzo a bordo campo dello stadio Sada alla fine degi anni Settanta.