Monza, dove Marotta diventò… Marotta

Arrivò in Brianza con una cascata di capelli neri e la barba incolta. Era l’estate del 1987 e lui si chiamava Giuseppe Marotta, Beppe per gli amici e conoscenti più stretti. Il Monza di Valentino Giambelli, reduce da una stagione anonima in serie C dopo una disastrosa retrocessione, cercava di darsi un look più moderno, con gente nuova e motivata.

 

Secondo il patron biancorosso, Beppe Marotta era l’uomo più adatto a ricoprire il ruolo di direttore generale. Trent’anni compiuti in primavera, il giovane dirigente era stato profeta in patria nella natìa Varese, dove nella stagione 81/82 la squadra aveva sfiorato la serie A, volata via solo alla penultima giornata a causa di una partita contestatissima dai lombardi (Lazio-Varese 3-2, doppio vantaggio biancorosso prima della rimonta laziale grazie anche a due rigori molto dubbi). Insieme a Marotta, Giambelli chiama a corte Pierluigi Frosio da Casignolo per il ruolo di allenatore: sulla carta è un Monza fragilino, pur dotato di giocatori dal radioso (ma ancora potenziale) avvenire: Casiraghi, Stroppa, Verdelli, Robbiati, tanto per fare dei nomi.

 

Il campo però, a fine stagione, fornirà ben altri verdetti: promozione in serie B e conquista della Coppa Italia Semi Prof. L’accoppiata Marotta-Frosio ha fatto il miracolo! La nuova stagione si apre con il trasloco definitivo allo stadio Brianteo: il Monza è un bel giocattolo che però funziona a corrente alternata, a un certo punto torna l’incubo retrocessione ma i biancorossi si compattano, a Brescia (da ultimi in classifica), i biancorossi svoltano grazie a un gollonzo di Gildo Salvadè. È il 12 marzo 1989, giorno della rinascita: a fine stagione il Monza è salvo e Marotta piazza alla Juventus il talentino Gigi Casiraghi in cambio di un bel gruzzolo.

 

Ma l’anno successivo non porterà buone nuove: la squadra biancorossa si accartoccia su se stessa nel girone di ritorno e precipita negli inferi della serie C dopo l’infausto spareggio di Pescara col Messina. Dopo tre anni Beppe Marotta fa le valigie e approda sulle sponde del Lario, in casa Como. Sarà l’inizio di un lungo itinerario formato da più tappe, alcune fortunate, altre meno. A Como non lascia buoni ricordi (nel ’92 l’accoppiata Frosio-Marotta viene beffata dal fattore “T” biancorosso, Trainini-Terraneo, sul filo di lana, Monza promosso in serie B), a Ravenna passa due stagioni senza infamia e senza lode prima di approdare nella laguna veneziana e conquistare la promozione in serie A (1998) che da quelle parti mancava da 31 anni.

 

L’ex giovanotto rampante di Varese è ormai un uomo maturo e molto ambito da vari club: per lui arrivano le esperienze con Atalanta e Sampdoria. Il club bergamasco, durante il mandato di Marotta (2000-2002) consegue il record societario di punti conseguiti (battuto in tempi recenti dalla super Atalanta di Gasperini), mentre la Sampdoria, che dal 2004 gli affida anche il ruolo di amministratore delegato, ottiene la qualificazione in Champions League nell’ultimo anno di mandato del signor Beppe (2010). Per Marotta è ormai tempo di esperienze di altissimo livello: Andrea Agnelli lo chiama alla Juventus per rifondare un club devastato dalle vicende di Calciopoli. Un anno di transizione, prima di dar vita a un ciclo fantastico costellato da scudetti, Coppe Italia e Supercoppe (2012-2018).

 

Il bel giocattolo si rompe il giorno in cui alla Juventus approda un certo Cristiano Ronaldo. Marotta è uno dei pochi a essere scettico sui presunti benefici dell’operazione e toglie il disturbo, per andare dai rivali storici numero uno del club bianconero: l’Inter! Dove nel 2021 conquista lo scudetto del lockdown (il 19° nella storia del club nerazzurro).
13 gennaio 2024: Marotta si appresta a tornare, per la seconda volta da avversario, a Monza, esattamente lì, dove è diventato… Marotta.

 

Nella foto Caprotti: Marotta tra Giambelli e Berlusconi il giorno della conquista della Coppa Italia di serie C nel 1988.