Mario Fossati, l’amico del “maestro” Brera (2a p.)

Mario Fossati collaborò con La Gazzetta dello Sport fino al 1956, per poi passare, con l’ormai inseparabile amico Gianni Brera, a Il Giorno, fino a terminare la carriera, sempre al suo fianco, a Repubblica. L’affetto tra l’originale giornalista e scrittore pavese ‘Figlio del Po’ ed il vulcanico brianzolo fu sempre fraterno e reciproco. Fossati chiamava scherzosamente Brera ‘Il mio sorello’ e quest’ultimo ricambiava la simpatia dell’amico con il termine ‘Il Generale’. Una sera, Gianni e Mario, inseparabili compagni di redazione ma, soprattutto, di tavole imbandite, per mangiate e bevute esagerate, entrarono in un ristorante sconosciuto dove, peraltro, nessuno dei due aveva prenotato la cena. Un cameriere del locale, anticipando le loro mosse, si fece subito avanti, spiegando che in quel momento non c’era alcun posto libero nella sala e che, forse, sarebbe stato meglio provare da altre parti. A quel punto, l’indispettito Brera non si perse d’animo e, a voce molto alta, replicò: ‘’Mi spiace molto, non tanto per me, ma per l’amico generale, qui al mio fianco.’’. Sentendo queste parole, il proprietario del ristorante balzò dallo sgabello e, in un batter d’occhio, recuperò ai due avventori una soddisfacente sistemazione nel salone. Durante la serata, l’ossequioso titolare trovò anche il modo, tra un piatto e l’altro, di dialogare amabilmente con la simpatica coppia, arrivando persino a chiedere in modo spudorato al presunto graduato se fosse a conoscenza di un modo per poter evitare al figlio il servizio militare. Da quel momento, Mario Fossati diventò, per tutti, ‘Il Generale’, anche se Gianni Brera amava sempre chiamarlo confidenzialmente ‘Mariòn’.

 

Una vita senza patente, prendendo sempre treno, tram e taxi

 

Una curiosità: il giornalista monzese, nella sua vita, non volle mai prendere la patente di guida, spostandosi volentieri in tram o in treno e, solo per strette esigenze operative, in taxi. Per evitare i noiosi e travagliati spostamenti quotidiani dalla sua abitazione alla sede di lavoro, ad un certo punto si trasferì da Monza a Milano, in corso Sempione, trovando come vicini di casa, Alberto Ascari, pilota iridato di F.1 nel 1952 e 1953 e, in viale Certosa, poco distante, Antonio Maspes, sette volte campione mondiale e dieci italiano di ciclismo, specialità su pista. Così erano, nella vita, Fossati e Brera, due persone semplici e geniali, ‘giganti’ del giornalismo, con stili completamente diversi nello scrivere ma uniti dalla stessa grande passione per il racconto. Furono entrambi accomunati anche dal triste ruolo di combattenti nella Seconda Guerra mondiale, dalla quale riuscirono però a tornare tutti e due sani e salvi. Il primo, addirittura, dopo essere sopravvissuto miracolosamente alla campagna di Russia. Brera, invece, al termine di un audace percorso intrapreso come volontario nel corpo dei paracadutisti e come aiutante di campo della 83° Brigata Garibaldi ‘Comolli’, operante nella Repubblica partigiana dell’Ossola. Qui lo scrittore pavese ottenne pure la massima considerazione, avendo predisposto il piano per sventare la distruzione per sminamento del traforo del Sempione.

 

Dall’Osteria monzese Robbiati alla sponda del Don, con la squadra biancorossa nel cuore

 

‘Mariòn’ era partito per il fronte dalla frequentatissima osteria Robbiati di Monza con 13 amici concittadini, riuscendo solo lui a far ritorno a casa, quando ormai in famiglia lo davano tutti per disperso. Arrivò a Monza il 5 aprile 1943, dopo essere rocambolescamente partito dalla riva del Don il 27 dicembre 1942. Durante la felice convivenza a La Gazzetta dello Sport, Fossati era riuscito a trasmettere a Gianni Brera anche tanta simpatia ed una certa passione a distanza per la squadra biancorossa della Brianza, mettendolo al corrente, ogni settimana, dei risultati conseguiti e del gioco espresso dalla sua amata formazione di casa. Incuriosito, il ‘Figlio del Po’ finì in alcune circostanze, con la Serie A ferma per gli impegni della Nazionale, a prediligere il ‘Sada’ come destinazione per il suo servizio in loco relativo al torneo cadetto. Appassionato di molti sport ma, soprattutto, profondo conoscitore dell’animo umano, Fossati sapeva farsi apprezzare per la sua ‘penna’ competente, lucida e dolcissima e per l’originale modo di centellinare, sapientemente, gli aggettivi e di esaltare le metafore. Per tutti era un maestro generoso e ricco di premure. Con la malattia e l’avanzamento dell’età, il buon Mario si era allontanato dal mondo del ciclismo moderno (che di fatto non lo entusiasmava più) fin dalle prime avvisaglie del doping, ma non lasciò mai i suoi adorati cavalli, Varenne su tutti, continuando a frequentare assiduamente, fino al limite fisico possibile, l’Ippodromo di San Siro. Il motorismo, lo sport che, da buon monzese, aveva seguito in gioventù, lo vedeva ormai solo in televisione, ricordando le tante giornate trascorse nel suo Autodromo, con gli eroici campioni di un tempo ormai lontano. Anche le partite dei biancorossi Fossati non aveva più modo di seguirle direttamente. Si limitava semplicemente ad apprendere, con puntualità esemplare, il risultato domenicale, attraverso i notiziari sportivi trasmessi dalle varie reti televisive, aggiungendo, al massimo, a chi gli stava vicino e dal divano di casa, un piccolo personale commento: sempre appropriato, come una volta, e mai banale.

 

Enzo Mauri

 

(Fine seconda e ultima parte)

 

Nella foto: Mario Fossati in piedi, alle spalle di Gianni Brera.