“Luisito” Suarez: un pallone d’oro a un passo dal Monza (pt.2)

A voi la seconda parte della vicenda “Luisito” Suarez, al quale furono preferiti Pivatelli e David/A cura di Enzo Mauri. 

A questo link trovate la prima parte.

 

In casa biancorossa, si continua, come nelle precedenti settimane, a convocare febbrili riunioni di Consiglio presso la sede di via Manzoni, in centro città. Al termine di questa stressante attività, vuoi per risparmiare del denaro (il presidente, affermato dirigente alla Angelo Cremona S.p.A., azienda leader nella produzione di macchinari per la lavorazione de legno, situata sul viale Lombardia tra Monza e Cinisello, lo davano tutti come uomo d’affari sempre particolarmente attento alle uscite di cassa ed ai bilanci societari), vuoi per la reale, seppure alquanto aleatoria, possibilità di potersi giocare la permanenza in Serie B sino all’ultima giornata di campionato, pur con Franco Viviani alla guida tecnica, Cappelletti ed i suoi stretti collaboratori decidono di non fare alcun cambiamento in panchina.

 

Così il Monza, perdendo 3-1 a Bari nell’ultimo turno, retrocede mestamente in Serie C e l’approdo di “Luisito” Suarez sulla panchina biancorossa, non essendoci più le condizioni dei mesi precedenti per concludere un possibile accordo, inesorabilmente sfuma. Franco Viviani, accostato blasfemamente da alcuni giornalisti ad Helenio Herrera, per aver copiato dal “Mago”, per il suo lavoro in Brianza, alcune originali pratiche di allenamento, con l’ossessivo riscaldamento in campo e l’utilizzo fisso della piscina, finisce sulla panchina della Salernitana, dove lancia, come portiere, un giovane e promettente Walter Zenga.

 

Suarez resta a Genova

 

“Luisito” Suarez, invece, in attesa della grande chiamata da un prestigioso club, già nell’aria a partire dalla sponda nerazzurra, resta in città e si accomoda momentaneamente, giusto per non restare inattivo, sulla panca della prima squadra del settore giovanili del Genoa. Dal cilindro monzese, a sorpresa, esce, infine, il nome di Gino Pivatelli, detto “Dinamite”, pure lui noto giocatore, ma discutibile tecnico, lasciato libero dal Ravenna. 

 

Se in Nazionale l’attaccante veronese stentò parecchio, nel Bologna trovò ben presto la consacrazione, con la sua forza dirompente, la sua agilità, la sua tecnica, la forza e la precisione nel tiro ed un fiuto del gol incredibile (nella stagione 1955/56, con la media di un gol a partita, “Piva” conquistò il titolo di capocannoniere della Serie A, realizzando 29 centri). Pivatelli rimase con i rossoblù fino al 1960, totalizzando 7 stagioni e 105 reti in campionato, per poi passare al Napoli e, a fine carriera, al Milan di Nereo Rocco, per vincere lo scudetto e la Coppa dei Campioni.

 

Se, nel 1963, la squadra rossonera batté nella finale di Coppa dei Campioni il Benfica di Bela Guttmann 2-1, fu, soprattutto, grazie al trentenne “Dinamite”, trasformato dal geniale tecnico triestino in difensore centrale, che, nel momento cruciale dell’incontro, sul risultato di 1-1, intervenendo rudemente sul temutissimo regista Mario Coluna lanciato a rete, allontanò in extremis la palla e procurò all’avversario la rottura di un osso del piede, senza subire alcuna sanzione arbitrale.

 

Serie B sfumata

 

Passato ad allenare, nella stagione 1964/65, come tecnico del Baracca Lugo, l’ex rossonero, ora novantenne, bocciò un terzino di soli diciotto anni, ritenuto non all’altezza del ruolo. Si trattava niente meno che di Arrigo Sacchi, che, scoraggiato da Pivatelli ad intraprendere la carriera da giocatore, finì, col preferire la panchina, fino a diventare, col tempo, come noto, tecnico del glorioso Milan degli olandesi ed anche il commissario tecnico azzurro. Il Monza di Pivatelli comincia bene la stagione 1973/74, ma, nonostante l’esperto ex bianconero Anzolin in porta, il diciannovenne e promettente Patrizio Sala in mediana ed il prolifico Sanseverino (miglior marcatore sociale con 11 reti) in attacco, deve ben presto inchinarsi alla superiorità dell’Alessandria, che poi conquisterà a pieno merito la promozione in Serie B.

 

Per i  biancorossi, a fine stagione, solo il terzo posto, a sette lunghezze dalla trionfante capolista! All’undicesima giornata, dopo la sconfitta di misura a Clodia Sottomarina contro il Chioggia ed il pareggio interno a reti inviolate contro il Mantova, la panchina biancorossa era stata affidata a Mario David, come architettato dal presidente Giovanni Cappelletti nei giorni del grande dilemma in Serie B. Il personaggio in questione, nato a Grado il 3 gennaio 1934, mediano, mezzala arretrata ed infine terzino, marcatore ed incontrista con un pregevole tocco di palla, era passato alla storia, come giocatore, per le sue cinque stagioni disputate con la maglia rossonera, vincendo il campionato nel 1962 e la Coppa dei Campioni l’anno successivo. Nelle vesti di allenatore, aveva guidato per una sola stagione nell’ordine, l’Anconitana, l’Alessandria e la Casertana

 

Confermato sulla panchina biancorossa anche per la stagione 1974/75, David, criticato per il gioco della squadra e per i risultati non proprio da prima della classe, fu costretto, a metà campionato, a lasciare il posto ad Alfredo Magni, che, al termine del torneo, mitigherà la delusione per la mancata promozione (primo posto al Piacenza di Giovan Battista Fabbri, davanti proprio alla compagine brianzola), con la conquista della Coppa Italia di Serie C, finita in Brianza grazie al successo ai calci di rigore nella finale a Sorrento contro i padroni di casa.  E così, con lui, uomo tenace e preparato di Brianza, ebbe inizio una nuova affascinante e duratura era biancorossa.

 

Enzo Mauri