Lino Rocca: da Villeneuve a Saini con tanta passione (2a p.)

Lino Rocca era un accanito tifoso e critico del Monza e adorava particolarmente il suo capitano Fulvio Saini, umile e generoso calciatore, nonché ragazzo di paese come lui, con quasi un ventennio trascorso con la maglia biancorossa addosso, collezionando 552 presenze in campionato (record per la società monzese), condite da 13 gol, la vittoria di due Coppa Italia Serie C e tre promozioni in ‘B’. Il cronista vimercatese raggiunse la notorietà nel mondo della carta stampata con il passaggio al Corriere d’Informazione e, subito dopo, al Corriere della Sera, seguendo lo stesso percorso giornalistico intrapreso qualche anno prima dal collega monzese Giovanni Belingardi ed occupandosi prevalentemente dei gran premi di F.1. Stimato dal concittadino Vittorio Brambilla, per il quale fece un’infinità di articoli, persino con gli sci in mano (in gioventù, prima di passare ai motori, il driver brianzolo era una grande promessa di discesa libera), Rocca fu conoscente e compagno d’avventure anche di altri piloti di fama mondiale.

 

ADDETTO STAMPA MANCATO DEL NASCENTE TEAM DEL CAMPIONE CANADESE

 

Riuscì, pure, ad instaurare un rapporto strettissimo di amicizia con l’alfiere della Ferrari Gilles Villeneuve, spesso al suo fianco nelle trasferte del ‘mondiale’. Per lui avrebbe fatto l’addetto stampa e l’uomo delle pubbliche relazioni, alle dipendenze del suo nascituro team di F1, se il destino non avesse bloccato inesorabilmente il canadese sulla pista di Zolder, in quel dannatissimo pomeriggio dell’8 maggio 1982, nell’ultimo turno di prove di qualificazione del G.P. del Belgio. Decisamente accattivante e, ancora adesso, poco conosciuta nell’ambiente delle corse la clamorosa ipotesi della imminente nascita, a quei tempi, di un Team Villeneuve. La macchina, sponsorizzata dalla Coca Cola, da una nota azienda del tabacco e da piccoli altri partner, sarebbe stata disegnata dall’affermato tecnico Gerard Ducarouge ed avrebbe beneficiato, cosa più unica che rara all’epoca, dei motori della Casa di Maranello. Il pilota canadese, stando alle voci ricorrenti nel paddock belga, si trovava, comunque, nella spiacevole condizione di dover lasciare presto la Ferrari. Villeneuve era, infatti, amareggiato e fortemente turbato per i fatti avvenuti il 25 aprile 1982 ad Imola, durante il G.P. di San Marino, quarta prova della stagione del Campionato mondiale di Formula 1. Qui, a sorpresa, con le due monoposto rosse in testa, i responsabili del team modenese, assente per problemi famigliari il direttore tecnico Mauro Forghieri, con precisi ordini segnaletici dal muretto dei box, avevano pensato bene di privilegiare per la vittoria Didier Peroni, compagno di squadra di Gilles, contravvenendo in modo clamoroso agli accordi d’inizio gara. I due piloti della Casa di Maranello, a quel punto dell’annata, erano, quindi, da considerare come ‘separati in casa’. Di conseguenza, il povero Villeneuve, consultandosi con l’amico giornalista Lino Rocca, aveva immediatamente predisposto i piani per il mese di maggio. Accompagnato dalla nota modella olandese Anke Verbeek a Schorly, la ragazza immagine di allora della Marlboro, divenuta nel frattempo inseparabile al suo fianco, il pilota ferrarista, nei giorni seguenti la tappa belga del ‘mondiale’, si sarebbe recato a Milano per un significativo servizio fotografico. Presso una nota agenzia, avrebbe dovuto farsi ritrarre con indosso la nuova tuta, commissionata per tempo e recante, in bella mostra, i marchi degli sponsor abbinati al nascente team e senza il classico emblema del Cavallino sul petto. E chi avrebbe dovuto fare gli scatti quel giorno? Provate ad indovinare… Eh sì, proprio lui, Danilo Recalcati, il conosciutissimo fotografo monzese, appassionato di motorismo e sempre al seguito anche delle partite dei biancorossi, cresciuto alla scuola di Peppino Levati ‘Foto Valdemaro’, intimo amico di Lino Rocca, come, del resto, del più modesto e folcloristico Angelo Scotti, il capo della tifoseria di casa. ‘La jena’, come veniva scherzosamente chiamato nell’ambiente il reporter brianzolo, lavorava, infatti, in quegli anni, per lo studio di immagine scelto per l’inedito servizio proprio da Villeneuve, su suggerimento dell’inseparabile giornalista vimercatese. Con questo curioso racconto, pensiamo d’aver stimolato a dovere pure l’attenzione del super tifoso del Monza Ferruccio Lanzi, detto ‘Ferro’, opinionista ed autore di pagelle in trasmissioni televisive inerenti agli incontri della formazione di Palladino, che fu tanto aficionado di Villeneuve negli anni Ottanta, da chiamare, poi, in suo onore, Gilles il figlio appena nato.

 

IL MONZA IN ‘PROMOZIONE’

 

Tornando al libro ‘Bianco su rosso – la storia del Calcio Monza’, merita una rilettura, per il ricordo storico e per il grande sentimento profuso, il doppio capitolo ‘Il Monza in Promozione – Stop al calcio. Tuona il cannone’, che sommariamente vi proponiamo di seguito: ‘’Il Monza, al suo primo anno di attività ufficiale, acquisisce il diritto di accedere al campionato di Promozione. Questa categoria raccoglie tutte le più grosse compagini calcistiche dell’hinterland lombardo. Il Monza si deve misurare con l’Atalanta, la Trevigliese, il Pavia, l’Enotria Goliardica di Milano e con i ‘castigamatti’ dell’anno precedente: i lodigiani del Fanfulla. Si compie un peccato di presunzione. Convinti che la squadra sia strutturata in modo tale da poter reggere il passo di simili antagonisti, non la si rafforza. Il campionato, con la sua spietata logica, condanna il… peccato, rispedendo il Monza nel purgatorio della terza categoria. La stagione registra, tuttavia, almeno due episodi degni di rilievo. La vittoria ‘bis’ nella ‘Coppa Colli’ (3 a1 in finale sull’Aurora Risorta) e l’inaugurazione del nuovo campo delle ‘Grazie Vecchie’, situato di fronte al Santuario. Il ritorno in terza categoria costituisce un salutare bagno di umiltà per gli ancora inesperti dirigenti del sodalizio monzese. Siamo nel 1915. La guerra, ormai, non è più un fantasma lontano: è lì da toccare. Terribile come ti coinvolge. I ‘ragazzotti’ dell’A.C. Monza, ormai cresciuti (sono nati tutti tra il 1884 ed il 1898) devono lasciare i mutandoni e le scarpe bullonate per le fasce, le mollettiere, le mostrine e gli scarponi chiodati dell’Esercito. Sette di loro non faranno più ritorno. Sono gli anni della prima guerra mondiale, dolorosi, interminabili. La grande guerra. Cappellai non se ne vedono quasi più per le vie di Monza: solo qualche vecchio, giudicato inabile al servizio militare. Del resto, per chi si dovrebbe fabbricare cappelli, quando i consumatori potenziali portano tutti l’elmetto di ferro? Monza sembra popolata di sole donne: donne guidano la ‘carrozzetta’ Molinetto-Regio Parco, donne distribuiscono la posta, donne fabbricano le spolette di proiettili alla Meccanica Lombarda. Gli uomini sono al fronte. Al calcio giocano solamente i ragazzini, i quindicenni o giù di lì, fieri della blusa celeste con colletto e polsini bianchi del Monza Football Club.

 

ALLE ‘GRAZIE VECCHIE’, TRIBUNETTA COSTATA TREMILA LIRE

 

Il campo, dal 1914, non è più a Triante. Qui si gioca alle ‘Grazie Vecchie’, proprio di fianco al Santuario. C’è anche la tribunetta, costata ben tremila lire, ma resta sempre desolatamente vuota di pubblico. La gente ha ben altro per la testa che assistere a partite di football.’’. Lino Rocca, ci ha purtroppo lasciato, improvvisamente, una mattina di venti anni fa, esattamente all’inizio della primavera 2004, colpito da un infarto nella sua abitazione monzese, mentre, lasciato momentaneamente solo dalla moglie uscita a fare la spesa, si apprestava a montare sulla cyclette per tenere in forma il fisico, cosa a cui teneva molto. Pur non avendo ancora raggiunto i sessanta anni di età era da poco andato in pensione e, non avendo avuto la gioia di diventare padre, cosa che avrebbe molto desiderato, si apprestava a vivere con l’amata moglie una nuova vita libera da stressanti impegni, spensierata, all’insegna dello sport praticato e degli hobby. Un crudele destino gli ha però fulminato, sul più bello, il cuore; quel cuore che tanto aveva battuto per il suo Monza e per le monoposto di F.1 sui circuiti di buona parte del mondo.

 

Enzo Mauri

 

(Fine seconda e ultima parte)

 

Foto tratta dal libro “Bianco su rosso”