Gigi Radice, il “Sergente di ferro” biancorosso (2a p.)

Un episodio, in particolare, è passato alla storia nei trascorsi di Radice alla guida della compagine brianzola e si riferisce alla partita Reggina-Monza della stagione 1997/98, vinta dai padroni di casa 1-0 con una rocambolesca rete di Pinciarelli a poco più di una ventina di minuti dal termine. Il giocatore biancorosso D’Aversa protesta platealmente per la segnatura, a suo giudizio avvenuta in modo irregolare e l’arbitro, il signor Calabrese, lo spedisce anzitempo sotto la doccia.

 

Lo scontro con Giambelli negli spogliatoi del “Granillo”

 

Ed è proprio qui, negli spogliatoi del Granillo, che, a fine partita, accade l’imprevedibile. Il presidente Valentino Giambelli entra furibondo e si dirige minaccioso verso il giocatore ribelle, a suo dire, principale imputato per la sconfitta dei biancorossi, rimasti in inferiorità numerica dopo questo suo avventato comportamento in campo, giudicato imperdonabile dal direttore di gara. Secondo il Numero Uno brianzolo, l’inevitabile decisione arbitrale, arrivata a seguito delle irriguardose e vibranti lamentele del suo centrocampista, avrebbe così precluso al Monza, rimasto in campo in dieci uomini, ogni possibilità di rimonta. Il buon Roberto accusa il colpo e, sotto il deciso incedere del suo presidente, rimane zitto, seduto sulla sedia, come un pugile stordito dopo un brutto colpo ricevuto sul ring. Ed ecco, a sorpresa, subentrare Gigi Radice per prendere, senza peli sulla lingua, le difese del suo giocatore. La replica è pesante e pungente: ‘’Basta presidente! Basta! Il problema non è certo D’Aversa, ma i ‘cifoni’ che ci hanno mandato i suoi amici!’’. L’allusione alla società rossonera è fin troppo evidente.

 

L’amaro esonero per far posto a Bolchi

 

Risultato: ‘Il Sergente di ferro’, nonostante la promozione di pochi mesi prima in ‘B’ (era subentrato a Giorgio Rumignani a metà marzo, dopo la sconfitta interna contro il Montevarchi), bissando così il successo nello spareggio di Bergamo contro il Como di trent’anni prima, viene clamorosamente esonerato il giorno seguente, per far posto sulla panchina biancorossa a Bruno Bolchi. Scelta rivelatasi, poi, fallimentare. Il tecnico milanese, soprannominato da Gianni Brera ‘Maciste’ per il suo aspetto da duro e per la sua prestanza fisica (1.83 d’altezza per un peso forma di 83 chilogrammi), dopo una brillante carriera da giocatore, con sei campionati da centrocampista titolare dell’Inter (squadra con la quale esordisce in Serie A all’età di 18 anni, per diventarne, tre anni dopo, il capitano) e con i successivi trasferimenti al Verona, all’Atalanta, al Torino ed infine alla Pro Patria, approda così a Monza, come allenatore, nell’ottobre del 1997, per restarci sei mesi, fino a marzo del 1998. Sotto la sua breve conduzione, da registrare solo 3 vittorie, 12 pareggi e 4 sconfitte per i biancorossi. A Monza, arrivato con grandi credenziali, non ha mai trovato feeling con l’ambiente, soprattutto con i tifosi, giustamente molto critici verso di lui, per il mediocre gioco espresso dalla squadra biancorossa e per i deludenti risultati conseguiti sul campo. Pessimo anche il rapporto con i giornalisti locali! I suoi 153 giorni di durata sulla panchina brianzola, contro i 720 di Pierluigi Frosio, suo successore, la dicono lunga sull’avventura in Brianza di un ‘Maciste’ ridimensionato e non proprio figura mitologica.

 

L’ultimo saluto alla RSA San Pietro

 

Ho visto per l’ultima volta in vita Gigi Radice, un giorno di settembre del 2018, circa tre mesi prima della sua scomparsa, alla RSA San Pietro di Monza, nelle vicinanze del Rondò dei Pini, dove da anni era ricoverato, come del resto mia madre, per gravi problemi di Alzheimer. L’ho riconosciuto a stento, magro, volto scavato, schiena incurvata, solo, seduto su una sedia a rotelle, mentre guardava perso l’infinito dai grandi finestroni ai lati del lungo corridoio, davanti all’ingresso del bar della casa di riposo. Gli ho sorriso; mi è venuto spontaneo un tentativo, poi subito rientrato, di allungargli amichevolmente una mano, ma lui era ormai troppo lontano con la testa, proiettato in un nuovo misterioso mondo, non certo calcistico. Ha cessato di vivere il 7 dicembre 1918, all’età di 83 anni, proprio presso la RSA San Pietro di Monza, dove, poi, hanno avuto luogo anche i funerali, alla presenza, tra gli altri, del presidente del Torino Urbano Cairo e dei giocatori Castellini, Cravero, Lorieri, Patrizio e Claudio Sala, Pulici, Massaro, Filippo Galli, Antognoni e Tardelli. Per la triste occasione, il Monza, il Torino, il Milan e la Fiorentina, deposero il gonfalone dei loro club all’interno della piccola chiesetta della struttura monzese, per accompagnare, con una quanto mai appropriata nota di colore, l’ultimo estremo saluto al loro grande uomo di un passato glorioso.

 

Enzo Mauri

 

(Fine seconda e ultima parte)

 

Nella foto Caprotti: Gigi Radice nervosissimo nei minuti finali dello spareggio Monza-Como, valevole per la promozione in serie B e disputato sul campo neutro di bergamo il 4 giugno 1967.