Gianfranco Santi, un fotografo cowboy al “Sada” (1a p.)

Negli anni Settanta, alcuni tra i più considerati giornalisti di Monza avevano la loro sede operativa e d’incontri presso lo studio fotografico di Gianfranco Santi, ubicato in un grande scantinato sotto il palazzo di via Camperio, al numero civico 8, ad una dozzina di metri dal Teatro Manzoni da una parte e dalla Galleria Civica dall’altra. Il titolare del laboratorio, bravo reporter, era spesso presente al ‘Sada’, con l’immancabile Rolleiflex in mano, per fare un’infinità di scatti alle partite interne dei biancorossi e non disdegnava di partecipare, pure, ad alcune trasferte, se non troppo lontane da casa. Oltre che per l’indiscussa professionalità, il dinamico fotografo piaceva alla gente per quel suo modo di fare, garbato e, nello stesso tempo, selvaggio, nonché per quell’aspetto un po’ da bohémien, da ragazzo del west. Lo caratterizzavano una media altezza, un fisico piuttosto robusto, una voce calda e armoniosa, una folta capigliatura riccia da giovane e una pronunciata calvizie centrale, fin sull’ampia fronte, negli ultimi anni di vita, baffi spessi e barba incolta, un cappello scuro a grosse falde sul capo d’inverno e la camicia sempre abbondantemente sbottonata d’estate.

 

L’abitazione alla ‘Zeguina’, il folcroristico rione di Monza

 

Gianfranco Santi, umbro di Terni, era venuto per la prima volta a Monza per adempiere agli obblighi di leva, ma, poi, conosciuta in zona Anna, una bella ragazza mora, finì per innamorarsi, in breve tempo sposarsi, avere due figli, Elisabetta e Luca, e trovare il modo di lavorare nella città brianzola in modo continuativo per parecchi anni. Prima fu assistente operativo per conto della Rai, quindi, fotoreporter in proprio, con tanto di studio in centro. Abitava, con la famiglia, a Monza, all’angolo tra la via San Gottardo e l’inizio di via Col di Lana, o meglio, alla ‘Zeguina’, curioso termine dato da un gruppo di cittadini, in tempo di guerra, al piccolo rione e la cui derivazione adesso non può che farci sorridere. Gli abitanti del posto, trovando grosse difficoltà nel pronunciare il nome della loro strada, allora denominata Bosnia-Erzegovina e situata in una parte non proprio ben frequentata e ‘culturalmente impegnata’ del popoloso quartiere San Biagio, avevano, infatti, deciso di semplificarne, a proprio piacimento, la dizione. Nacque, così, il fantasioso nome ‘Zeguina’, adottato, poi, da tutti, indistintamente, in città, per indicare la zona abitativa tra il ponte della ferrovia di via San Gottardo e il tratto, prima della cascata, del canale Villoresi, oggetto, pure, di allegra balneazione nel periodo estivo. Ebbene, Gianfranco Santi, risiedeva proprio lì, tra tanti personaggi folcloristici, come lui. Subito identificabile per il particolare portamento, quando si spostava a piedi nel tragitto dalla sua abitazione allo studio fotografico, a maggior ragione, non passava inosservato, soprattutto negli ultimi anni di vita, transitando in auto per le trafficate arterie di Monza o districandosi nelle operazioni di parcheggio nel piazzale del vecchio ‘Sada’.

 

Al volante delle originalissime Citroen Mehari color verde mela e arancione

 

Si muoveva, infatti, al volante di un’originalissima vetturetta, una vecchia e vistosa Citroen Mehari. Per la verità, di queste macchine francesi, il Santi ne aveva acquistate due, usate e con parecchi chilometri di percorrenza, una colore verde mela e l’altra arancione. Motivo di questa bizzarra decisione, a dir suo, ma solo a titolo giustificativo, la possibilità di poter avvicendare, così, i pezzi di ricambio, in caso di guasti meccanici accusati dai mezzi in questione. In realtà, tutti i suoi amici sapevano benissimo che, nella inusuale scelta, il simpatico fotografo era stato guidato semplicemente dalla passione per questo strano mezzo, che lui amava incondizionatamente. La piccola e spartana automobile della Casa transalpina, realizzata sul telaio della mitica ‘2CV’, presentava una leggera carrozzeria, di consistenza pressoché simile a quella della plastica, era priva del classico tetto rigido, non disponeva di vere portiere e si distingueva per i logori teli svolazzanti da ogni parte. A detta della gente, il curioso mezzo era, decisamente, più consono alle località di mare e alle distese desertiche, che alla pianura padana. L’autista, poi, con quel suo stravagante abbigliamento, spesso arricchito da un colorato foulard al collo, non poteva che apparire agli occhi dei passanti più un cowboy finito casualmente in città, che un reporter professionista in giro per lavoro. Con la macchina fotografica, Santi era, però, un vero professionista, bravissimo nelle inquadrature e veloce negli scatti. Al ‘Sada’, in particolare, era molto abile nel fissare le immagini salienti delle varie fasi della gara in corso e, soprattutto, posizionato, immancabilmente, con il suo sgabello pieghevole, ai lati della porta avversaria, nel fermare ad hoc il momento del gol del giocatore biancorosso di turno. Riusciva, spesso, a mettere a fuoco, alla perfezione, in un solo clic, l’esecutore impegnato nel colpire la sfera di testa o di piede, il portiere avversario finito a terra e il pallone terminato in fondo alla rete.

 

Enzo Mauri

 

(Fine prima parte)