Bruno Bolchi: un “Maciste” poco eroico a Monza

A cura di Enzo Mauri

 

Bruno Bolchi, soprannominato da Gianni Brera ‘Maciste’ per il suo aspetto da duro e per la sua prestanza fisica (1.83 d’altezza per un peso forma di 83 chilogrammi), dopo una brillante carriera da giocatore, con sei campionati da centrocampista titolare dell’Inter (squadra con la quale esordisce in Serie A all’età di 18 anni, per diventarne, tre anni dopo, il capitano) e con i successivi trasferimenti al Verona, all’Atalanta, al Torino ed infine alla Pro Patria, approda a Monza, come allenatore, nell’ottobre del 1997, per restarci sei mesi, fino a marzo del 1998.

 

Sotto la sua breve conduzione, da registrare solo 3 vittorie, 12 pareggi e 4 sconfitte per i biancorossi. Nel suo palmares da tecnico figurano, comunque, quattro promozioni in Serie A, con il Bari (1984/’85), il Cesena (1986/’87), il Lecce (1992/’93) e la Reggina (1998/’99) e due in ‘B’, nuovamente con il Bari (1983/’84) e la Pistoiese (1976/’77).

 

Questione di feeling

 

A Monza, arrivato con grandi credenziali, non ha mai trovato feeling con l’ambiente, soprattutto con i tifosi, giustamente molto critici verso di lui, per il mediocre gioco espresso dalla squadra biancorossa e per i deludenti risultati conseguiti sul campo.

 

Pessimo anche il rapporto con i giornalisti locali: i suoi 153 giorni di durata sulla panchina brianzola, contro i 720 di Pierluigi Frosio, suo successore, la dicono lunga sull’avventura in Brianza di un ‘Maciste’ ridimensionato e non proprio figura mitologica.

 

22 febbraio 1998, ventitreesima giornata del campionato di Serie B: il Monza pareggia, giocando piuttosto male, 1-1 in casa contro il Treviso, squadra che in trasferta non aveva mai vinto nel corso della stagione, andando in svantaggio al 26’ per una rete di De Poli e pareggiando un minuto dopo con il bomber Francioso, per poi subire la supremazia degli ospiti e non rendersi più pericoloso per il resto della gara.

 

A fine partita, nella Sala Stampa dedicata al papà Angelo, Paolo Corbetta, il figlio dell’apprezzato giornalista scomparso a metà degli anni Ottanta, corrispondente da Monza de La Gazzetta dello Sport, subentrato nell’incarico al conosciutissimo padre, fa garbatamente notare al mister biancorosso il particolare atteggiamento rinunciatario della sua squadra, ingiustificato, a suo dire, vista la pochezza tecnica ed agonistica degli avversari. 

 

Chiede, quindi, spiegazioni per la rilassatezza della difesa sul gol preso e per la limitatissima reazione dei suoi attaccanti, durata giusto 60 secondi, solo quelli sufficienti per raddrizzare le sorti dell’incontro. Incredibile la replica di un Bolchi, più scuro in volto del solito, ed ormai fuori controllo: ‘’E’ inutile che io perda tempo a rispondere a voi giornalisti, tanto non capite un caz**’’.

 

A quel punto, il buon Paolo Corbetta si alza dalla sedia e, mandando a quel paese l’interlocutore, con un eloquente gesto plateale della mano, se ne va verso l’uscita, tra il disappunto e lo sconcerto dei colleghi presenti nel locale. Anche Romano Cazzaniga, ex portiere biancorosso e, al momento, vice di Bolchi, appostato in piedi alle spalle di tutti i giornalisti, in prossimità della porta d’uscita dalla sala, mostra a Corbetta tutta la sua solidarietà. Non commenta, per ovvie ragioni di ruolo, l’infelice uscita del suo superiore, ma gli fa d’istinto il classico occhiolino. Il tutto accompagnato da un sorriso e da una inequivocabile frase nel classico dialetto locale: ‘’Paolo, a te fa ben!’’.

 

 

Bruno Bolchi è stato allenatore del Monza per un totale di 153 giorni

 

La prima figurina

 

Particolare curioso, Bruno Bolchi, oltre che per l’interminabile carriera da giocatore e da allenatore, diventò celebre anche per essere stato il primo giocatore a fornire, su richiesta per la forte rappresentatività, la propria immagine per la stampa della primissima figurina della nota raccolta di calciatori per l’album Panini (delizia di tanti giovani appassionati di calcio) a partire dal 1960 e per decenni. 

 

Bolchi, dopo una lunga e dolorosa malattia, è morto, ottantaduenne, presso la Casa di Cura Villa Donatello a Firenze, nella notte tra martedì 27 e mercoledì 28 settembre 2022. Conclusa l’esperienza sulla panchina della Pistoiese e della Unione Valdinievole, a fine anni Settanta, aveva deciso di risiedere stabilmente a Pieve a Nievole, alle porte di Montecatini, con la moglie Paola ed i due figli Alessandro ed Andrea.

 

Amante dei viaggi e delle crociere, aveva acquistato anche una casa a Sharm El Sheikh, dove si recava spesso per lunghi periodi di vacanza.

 

Strano destino

 

Il destino ha voluto che, proprio nella stesso giorno, se ne andasse a Cinisello Balsamo, all’età di 85 anni, anche un altro importante e conosciutissimo personaggio del Calcio Monza: Giancarlo Beltrami, centrocampista per tre stagioni dal 1966 al 1969, per un totale di 87 presenze con la maglia biancorossa. Lui era in campo anche a Bergamo, il 4 giugno 1967, in occasione dello spareggio contro il Como per la promozione in Serie B, vinto dai brianzoli 1-0 grazie all’ormai storico ‘piattone’ di Maggioni al 31’.

 

Aveva uno stratagemma per realizzare personalmente o per far fare ai suoi compagni di squadra le reti su punizione dal limite. Poco prima dell’esecuzione, con la barriera avversaria schierata, sghignazzando vistosamente, soleva gridare in stretto dialetto milanese ‘Che bùs … che bùs!’.

 

I giocatori avversari, istintivamente, si muovevano per rimediare alla presunta falla e, così, si apriva davvero un varco, dove far passare la palla. Più di una volta questa tattica risultò vincente, tra lo sconcerto dei poveri difensori beffati e l’esultanza del furbo esecutore.

 

Una volta chiusa la carriera agonistica nel 1969, a 32 anni, con presenze nell’ordine nel Milan, Verona, Bolzano, Cosenza, Livorno, Varese (oltre che nel Monza naturalmente) Giancarlo Beltrami divenne direttore sportivo.

 

Dal 1977 al 1993, per ben 16 anni, ricoprì brillantemente questo ruolo all’Inter, con i presidenti Ivano e Fraizzoli prima ed Ernesto Pellegrini poi. Restò sempre legato all’ambiente monzese, conservando sino agli ultimi giorni tante amicizie.

 

Enzo Mauri

 

Foto: Caprotti