Braida, strepitoso in attacco e… alla scrivania (1a p.)

La storia del Monza è ricca di direttori sportivi e direttori generali che, partiti dalla sede biancorossa di via Manzoni, con poco mestiere e tanta volontà, sono poi approdati a grandi e storici club, anche con prestigiosi incarichi di amministratore delegato, vicepresidente e presidente, per vincere scudetti e Champions League, oppure, semplicemente, per chiudere la carriera, con traguardi meno ambiziosi, ma sempre importanti e stimolanti. I più celebri di questi sono, senza dubbio, Ariedo Braida e Beppe Marotta. Oggi, dopo esserci ampiamente occupati del presidente dell’Inter nelle ultime settimane da queste stesse colonne, vogliamo dedicarci al personaggio più anziano dei due (li dividono all’anagrafe 11 anni, a favore dell’attuale Numero Uno nerazzurro). Prima della dolorosa scomparsa di Silvio Berlusconi, avvenuta il 12 giugno 2023, Ariedo era stato da più parti dato vicinissimo al grande ritorno presso la società biancorossa. Questo non fosse altro che per l’incontro esplorativo con l’Amministratore delegato e vicepresidente vicario biancorosso Adriano Galliani, ufficialmente programmato da tempo per il giorno 15 giugno dello stesso mese e dello stesso anno. Il luttuoso evento, presentatosi drammaticamente tre giorni prima della preannunciata riunione, portò poi all’immediata sospensione della stessa, senza, giusto per usare un noto termine calcistico, alcuna certezza di recupero. Nato nel 1946 a Precenicco, comune di neppure 1500 abitanti del Friuli-Venezia Giulia, il buon Ariedo, da calciatore, dopo gli esordi nelle formazioni giovanili del Palazzolo dello Stella, ha militato in diverse squadre, tra cui Udinese, Brescia, Mantova, Cesena e Palermo, oltre che nel Monza (dal 1975 al 1977) segnando un’infinità di gol. Braida (termine che in lingua longobarda identificava storicamente il prato) appare un cognome quanto mai appropriato per uno come lui, amante sin da bambino della natura e, soprattutto, dei campi da gioco.

 

Con il Varese in serie B 13 reti, come il compagno Bettega

 

Ariedo, nella sua brillante carriera da attaccante, disputò complessivamente ben 79 partite in Serie A, segnando 14 gol nell’arco di quattro stagioni, con le maglie di Brescia, Varese e Cesena. Da segnalare pure che, nella ‘cadetteria’ con il club varesino, nella stagione 1969/’70, vinse la classifica dei cannonieri con 13 marcature, a pari merito con il compagno di squadra Roberto Bettega ed Aquilino Bonfanti del Catania. Anche in molti dei 55 incontri affrontati con la divisa del Monza, l’attaccante friulano lasciò il segno, con splendidi gol realizzati e spettacolari assist offerti ai compagni, dimostrando di essere un atleta talentuoso, dall’impegno costante e generoso e dal rendimento sempre garantito. In particolare, il 15 gennaio 1977, in una gara al ‘Sada’ tra i biancorossi ed il Catania, Braida, restando in campo gagliardamente, come suo solito, per tutti i 90’, contribuì alla rotonda vittoria dei padroni di casa per 3-0, mettendo nel sacco un pallone da vero fuoriclasse. La domenica successiva, contro il Brescia, poi, si ripeté, realizzando una delle due marcature con le quali la formazione di Alfredo Magni, vincendo, ebbe la possibilità di consolidare la posizione di vertice in classifica. Solo una volta, il 7 maggio 1977 contro il Taranto, non riuscì neppure a terminare il primo tempo, dovendo uscire per infortunio (campo abbandonato al 34’), ma il Monza riuscì, comunque, ad avere la meglio per 2-1, grazie soprattutto alla sua superlativa prestazione nella prima frazione di gioco. Conclusa la carriera da calciatore, Braida tornò in Brianza nel 1981, presso la sede biancorossa di via Manzoni con l’incarico di Direttore sportivo, e vi restò fino al 1984, quando passò all’Udinese di Lamberto Mazza, per sostituire, nello stesso ruolo, il dimissionario Franco Dal Cin. Qui favorì il non facile inserimento in Italia di Arthur Antunes Coimbra, il mitico numero dieci brasiliano meglio conosciuto come Zico.

 

Il contratto di Rijkaard nascosto nelle mutande

 

Al Milan, il dirigente di Precenicco ricoprì successivamente la carica di Direttore generale (dal 1986 al 2002) e quella di Direttore sportivo (dal 2002 al 2013), mettendo a segno, nei 28 anni di militanza, colpi di mercato passati alla storia. Primo fra tutti, l’arrivo nel capoluogo lombardo del trio olandese Van Basten, Gullit e Rijkaard. Per l’acquisto di quest’ultimo, Braida fu costretto a lasciare la sede dello Sporting Lisbona, luogo della contrattazione, da una porta secondaria, con fuori sulla strada, a minacciarlo, una folla di tifosi inferociti per la perdita del loro campione. Per sicurezza, Ariedo non esitò, nella circostanza, a nascondere disinvoltamente il contratto, appena firmato, nelle sue mutande. Poi, ancora il croato Zvonimir Boban ed il liberiano George Weah, prelevato dal Paris Saint Germain per 11 miliardi di lire, nonostante il parere negativo del suo allenatore Fabio Capello. Quest’ultimo, ironizzando alla presentazione ufficiale del nuovo arrivato a Milanello e non immaginando lontanamente che il giocatore avrebbe poi vinto con la maglia rossonera ben due scudetti ed un ‘Pallone d’oro’, ebbe a definirlo, in modo quanto meno irriverente, ‘un cameriere’. Per chiudere in bellezza la carrellata dei personaggi più celebri portati da Braida a Milano, annoveriamo Andriy Shevchenko e Ricardo Izecson dos Santos, meglio conosciuto con lo pseudonimo di Kakà, preso nel 2003 in Brasile per 8 milioni e mezzo di euro, anticipando le mosse del direttore generale della Juventus Luciano Moggi. Particolare curioso: l’originale termine dell’asso carioca, lo si deve al fratello minore Digào, pure lui ai tempi calciatore, che, non riuscendo, da piccolo, a pronunciare correttamente il nome ‘Riccardo’, finiva sempre per storpiarlo in ‘Cacà’. Ci pensò poi il diretto interessato a sostituire, almeno nella scrittura, entrambe le ‘c’ con due ‘k’, per rendere l’appellativo, una volta divenuto popolare, meno ridicolo. Quattro anni dopo aver indossato per la prima volta la maglia rossonera, Kakà vinse la Champions League, meritandosi anche il ‘Pallone d’oro’.

 

Enzo Mauri

 

(Fine prima parte)