Bosy Sport, il “covo” biancorosso del secolo scorso (Prima parte)
Dall’inizio degli anni Sessanta e per alcuni decenni il Calcio Monza, per i propri giocatori, affidò la realizzazione delle scarpe da football, da creare personalizzate e rigorosamente fatte a mano, a Dino Bosisio, artigiano delle tomaie e titolare di un negozio di calzature per uomo, donna e bambino, con due ampie e luminose vetrine affacciate sulla via Sempione, in zona San Biagio. A lui, visti gli splendidi rapporti subito instaurati con tutti i calciatori biancorossi e con i componenti della dirigenza, furono riconosciute anche improvvisate attività di relazioni interpersonali inerenti le questioni societarie. Per non avere interferenze sul suo lavoro di matrice calcistica, Bosisio, sin dall’inizio, aveva lasciato la gestione dell’impegno commerciale alla giovane moglie, poi scomparsa prematuramente per un male allora considerato incurabile. Anche suo padre Luigi, al termine dell’ultima guerra, aveva avviato una bottega simile in città, ma senza divagazioni di genere sportivo. Il negozio era situato sull’angolo di via Mantegazza, davanti alla chiesa di Santa Maria degli Angeli ed a fianco della piccola rivendita di articoli casalinghi di Bruno Bolis, prestigioso portiere ed allenatore di hockey su pista o, meglio, a rotelle, come si usava dire una volta.
Bruno Bolis, da giocatore del Calcio Monza a portiere Campione del mondo di hockey
Per la verità, l’atleta, nato a Monza il 2 maggio 1928 e mancato, sempre in città, il 12 luglio 2011, aveva iniziato la sua attività agonistica, giocando a calcio nel Monza, fino al 1945, quando, un brutto infortunio lo costrinse ad una forzata sosta di un quadriennio, per, poi, una volta ristabilitosi, cambiare completamente disciplina sportiva. Proprio in quell’anno per lui maledetto, non potendo più utilizzare il vecchio stadio di via Ghilini, per questioni di mancata omologazione per i campionati di Serie C, la società biancorossa decise, con il sopraggiungere dell’estate, di cambiare il luogo delle proprie partite interne. Tornò, così, in auge il datato progetto che prevedeva la conversione degli spazi occupati dalla G.I.L. e situati dietro la ‘Casa del Balilla’. Il Monza, accordandosi con il Comune per la cessione del proprio campo, si impegnò, così, a dissodare il terreno del dismesso cimitero di San Gregorio, rifacendone completamente il fondo ed eliminando i residui di ogni genere ancora presenti. Venne, poi, eretta, per il pubblico, una piccolissima tribuna di legno e, per far fronte alla sua capienza molto limitata, furono messi a disposizione degli spettatori, a ridosso della recinzione, dei terrapieni leggermente rialzati. Ripresa l’attività ufficiale, dopo il periodo bellico, la squadra monzese disputò il campionato di Serie C della Lega Nazionale Alta Italia, mancando di poco l’ammissione alle finali per la promozione in ‘B’. Nel 1945, sulla panchina della compagine di casa sedeva il riconfermato Angelo Piffarerio, ex calciatore degli anni Venti, mentre, a fine stagione, i migliori realizzatori biancorossi risultarono Angelo Uggetti e Giuseppe Maldini, rispettivamente con otto e sette gol segnati. Con la maglia dell’Hockey Club Monza, Bruno Bolis scese in pista ininterrottamente sino al 1962, anno del suo definitivo ritiro, vincendo quattro scudetti tricolori (nel 1951, 1953, 1956 e 1961). Giunto in Nazionale, conquistò nel 1953, a Ginevra, i campionati del mondo e quelli europei, nel 1955, a Barcellona, i Giochi del Mediterraneo e, nel 1956, a Parigi, la Coppa Latina. Appesi i pattini al fatidico chiodo, Bolis si cimentò anche come allenatore dell’Hockey Club Monza, nella stagione 1965/1966, ma, dopo una sola ed incerta esperienza, preferì desistere per dedicarsi interamente alla famiglia ed alle vicende del suo negozio in centro città, ormai prossimo alla definitiva chiusura.
Melonari e Tosetto, gli ospiti fissi di Dino Bosisio
Dino Bosisio, seduto su uno sgabello impagliato, con un martelletto ed una grossa forbice sempre a portata di mano, lavorava dalla mattina alla sera le tomaie, indossando l’immancabile camice bianco e tenendo stretta tra le gambe una pesante incudine di ferro. Davanti a sé aveva un vecchio tavolino rettangolare di legno grezzo, con sopra barattoli di colla, densa come la cera, scatole di minuscoli chiodi, serie di aghi ed un’infinità di matasse di fili di cotone. Per sei giorni alla settimana, senza mai un attimo di tregua, operava, prima nel retrobottega del suo negozio, poi, a distanza di anni, in una specie di scantinato a piano terra della attigua corte di casa di ringhiera, con la precaria porta a vetri di accesso costantemente aperta. Gli scarpini, di una morbidezza e comodità eccezionali, finivano in primis al Calcio Monza, poi alle varie piccole società dei paesi limitrofi e della provincia. Un giorno, quando la fama arrivò a varcare i confini della Brianza, questi preziosi accessori per i piedi arrivarono anche a Milano da Giacinto Facchetti e persino in Sardegna da Gigi Riva. Il simpatico artigiano monzese, di natura cordiale e sorridente, seguiva da vicino tutte le vicende della società biancorossa e, dalla sua postazione lavorativa, parlava quasi quotidianamente con tutti i vari giocatori che spesso, finiti gli allenamenti, passavano a trovarlo in via Sempione. Di casa erano poi, negli anni Sessanta, il centrocampista Mariano Melonari (che abitava ad un tiro di schioppo dal suo negozio) e, il decennio seguente, l’attaccante Ugo Tosetto, che finiti gli allenamenti pomeridiani considerava l’improvvisato laboratorio di scarpe l’ultima tappa serale del suo pellegrinaggio tra i bar cittadini per la classica ‘ombretta’ con i tifosi.
(Fine prima parte)
Nella foto: Enzo Mauri, l’autore delle “Storie Biancorosse”