Belingardi, sfortunato testimone della promessa di Galliani (2a p.)

Laureato in Ingegneria a Torino, con studi liceali al locale Collegio San Giuseppe, Giovanni Belingardi, classe 1948, apparteneva ad una famiglia benestante di Monza. Il padre, direttore generale della storica CGS, azienda cittadina di strumenti di misura e successivamente anche di accensioni elettroniche, era molto conosciuto e stimato in città. Già negli anni dell’università, il giovane rampollo si era messo in testa di fare il giornalista, anche contro le aspettative dei genitori, che sognavano per lui una carriera da imprenditore o, comunque, da grande manager nel settore tecnico industriale. Così Giovanni proseguì ostinatamente sulla strada intravista fin dall’adolescenza e, ben presto, riuscì a coronare il suo sogno. Nel 1975, il giovane monzese scrisse, con Brizio Pignacca, direttore de L’Eco di Monza e della Brianza, due libri: ‘La formula più lunga. Le macchine e gli uomini dei Grand prix dal 1966 a oggi’ e ‘Ferrari Campione del Mondo – Le macchine e gli uomini di Maranello sette volte iridati’, entrambi per Sperling & Kupfer Editori, avvalendosi anche, per la parte fotografica, della collaborazione del concittadino Ercole Colombo, ormai esperto e qualificato fotoreporter di F.1.

 

Dal “Sada” all’attico nel Quadrilatero della Moda in Ferrari   


Giovanotto brillante e distinto, viso da fotoromanzi, sempre vestito alla moda, estroverso, dotato di una notevole carica umana, solare ed espansivo, molto generoso verso il prossimo, Belingardi non ostentava mai la sua considerevole condizione sociale, finendo per apparire ai più molto simpatico. A volte, poteva risultare un po’ troppo chiacchierone con la gente, che, comunque, lo considerava un serio e dinamico professionista, molto determinato sul lavoro. In città lo conoscevano un po’ tutti. Alla storica sede del Calcio Monza, in via Manzoni, era di casa. Nel tempo libero, lui amava bazzicare diversi luoghi di ritrovo ed aggregazione cittadini, dall’elegante  Sporting Club, nella esclusiva villa di fonte al Parco, al più popolare ‘Al Braciere’, ristorante-pizzeria del centro, abitualmente frequentato da tanti tifosi dei biancorossi, sia di calcio che di hockey a rotelle e da quasi tutti i piloti monzesi, che lui apprezzava e seguiva volentieri in pista. All’esuberante Giovanni  piacevano tanto le macchine sportive. Ebbe anche la fortuna di possedere, per alcuni anni, una favolosa Ferrari ‘Dino’ bianca, procuratagli da Tino Brambilla, ex pilota ufficiale e collaudatore della Casa di Maranello, che, negli anni Sessanta, lavorava, con il fratello Vittorio, nell’autofficina di via Bellini, ad un tiro di schioppo dalla sua abitazione, situata in un lussuoso condominio in via Rossini. Dopo un matrimonio da favola con la figlia di un noto imprenditore della zona, il valido giornalista lasciò la casa di Monza, in zona Parco, per andare ad abitare a Milano, nel ‘Quadrilatero della Moda’,  in uno splendido attico in via della Spiga, sopra l’atelier di Krizia. Grande sportivo, sempre con i colori biancorossi nel cuore, si era fatto le ossa come collaboratore a L’Eco di Monza e della Brianza, il settimanale degli industriali locali e con la corrispondenza dalla sua città per il quotidiano torinese Tuttosport. Negli anni Settanta approdò al Corriere d’Informazione e, con l’importante testata milanese del pomeriggio, si fece apprezzare come cronista e commentatore sportivo, ma anche quale incaricato esperto, al seguito di alcuni gran premi di F.1, in giro per il mondo. Domenica 6 ottobre 1974, Belingardi era inizialmente  destinato al ‘Sada’, per recensire il derby lombardo Monza-Mantova di Serie C, girone A (la partita farà registrare uno scialbo e deludente pareggio a reti inviolate). Da poche settimane era iniziato il campionato di Serie C, con Mario David sulla panchina biancorossa (il  mister gradese, a seguito di una serie di risultati negativi della squadra, sarà, poi, sostituito da Alfredo Magni, al termine della diciottesima giornata) e con Giovanni Cappelletti saldamente alla presidenza, animato dall’obiettivo della promozione tra i cadetti (la ‘B’ sfumerà, però, sul più bello, a fine torneo, a beneficio del Piacenza di Giovan Battista Fabbri). Luigi ‘Gigi’ Sanseverino realizzava, in quella stagione, gol a raffica (andando a segno 20 volte, finì per ritrovarsi, a fine campionato, secondo nella speciale classifica dei marcatori del girone dietro al piacentino Bruno Zanolla con 23 reti). Per la compagine brianzola, imbattuta per tutto il torneo al ‘Sada’, con 14 vittorie e 5 pareggi conseguiti, ci sarà solo, a fine giugno, la consolazione del pur prestigioso successo nella Coppa Italia di Serie C, grazie alla finale portata a casa ai calci di rigore, a Sorrento, contro la locale formazione.

 

Per il giornalista monzese niente derby Monza-Mantova, ma G.P. degli Usa di F.1 a Watkins Glen

 

Tornando a quel 6 ottobre, Giovanni Belingardi, non tantissime ore prima del weekend, a sorpresa, era stato dirottato, su iniziativa del caporedattore del giornale milanese, dallo stadio Gino Alfonso Sada al circuito di Watkins Glen, per il G.P. degli USA di F.1.  Il Corriere d’Informazione, considerando che in gara sarebbe stato presente anche il monzese Vittorio Brambilla e che il quotidiano milanese poteva contare su molti lettori in Brianza interessati all’evento, aveva, infatti, deciso di affidare al proprio stimato collaboratore la prestigiosa gara automobilistica, piuttosto che il ben più modesto derby lombardo di Serie C. Il tempo di riprendersi dalla notizia dell’inaspettato incarico e di organizzare alla bell’e meglio la trasferta ed il giovane Belingardi era già in volo verso l’America. Il viaggio, affrontato in fretta e furia, fu per lui disastroso, con tanta personale agitazione e con molte turbolenze tra le nuvole per l’aereo. Così il povero cronista, lungo tutta l’impegnativa tratta, non riuscì mai a chiudere occhio. All’arrivo negli Stati Uniti, l’irriconoscibile Giovanni appariva frastornato e particolarmente provato, sia dal fastidioso ‘jet lag’, che dalla stanchezza accumulata nelle ultime ore.  Non sembrava neppure in grado di rendersi conto se la luce percepita rappresentasse il tramonto incombente o l’ imminente mattino, se quello fosse il momento più propizio per andare a letto o per recarsi a lavorare. Per giunta, le condizioni ambientali si presentavano davvero infami, con un freddo cane, minaccia di pioggia, neve abbondante da ogni parte ed una nebbia da tagliare con il coltello. Persino il progettista e direttore tecnico della Ferrari Mauro Forghieri, in arrivo, al volante di un’auto presa a noleggio, da Chicago, dove il suo aereo era atterrato in stato di emergenza, aveva incontrato grosse difficoltà nel raggiungere il circuito. Una forte nevicata lo aveva, infatti, bloccato in mezzo alla strada, costringendolo a completare il travagliato viaggio preceduto addirittura da uno spazzaneve in piena azione. Nell’incertezza sul da farsi, Belingardi decise, così, di prendere subito la strada per l’autodromo, vicinissimo al suo albergo. Imboccò l’unico cancello d’accesso aperto e già presidiato dal personale di servizio e, in pochi istanti, venne a trovarsi sul rettifilo d’arrivo, circondato da un’atmosfera surreale. Il silenzio si manifestava in modo a dir poco spettrale: lungo il percorso e sulle tribune non si scorgeva anima viva. Poi, fatti pochi passi, dalla spessa coltre nebbiosa, apparve improvvisamente una sfuocata figura, che, pian piano, prese forma. Agli occhi dello sfinito giornalista si presentò, quindi, la sagoma di un ‘gigante’ a braccia aperte, ma dalla voce amica. “A ta se dré a cercà i lùmach? (Stai cercando le lumache?) A gh’era propri bisogn da vegnì fin chi? (C’era proprio bisogno di venire fin qui?) L’era minga pussè comùd andà al parco, dadrè dai cürvi de Lesmo? (Non era più comodo andare al Parco, dietro le curve di Lesmo?). Era il ‘‘Vittorione’ Brambilla che, non riuscendo più a dormire nella stanza dell’ hotel, situato quasi dentro l’impianto, aveva pensato bene di fare un giro a piedi sul tracciato, di prima mattina, tanto per prendere un po’ di confidenza con la pista. E, scorgendo inaspettatamente il suo concittadino, per di più in terra lontana, non aveva trovato di meglio che rivolgersi a lui nel più stretto dialetto brianzolo, con una delle sue classiche e spiazzanti battute.

 

Enzo Mauri (nella foto)

 

Fine seconda parte