Salvioni: l’allenatore inadeguato

Nella carrellata degli allenatori meno positivi ed efficaci transitati da Monza, ci soffermiamo qui su Valter Alessandro Salvioni, trainer decisamente inadeguato, soprattutto considerando la delicata situazione che stava vivendo la squadra biancorossa nel secondo decennio degli anni Duemila.

 

L’arrivo a Monza

 

Approdato in Brianza, alla corte di Nicola Colombo, nel gennaio 2016, su suggerimento del direttore sportivo Filippo Antonelli Agomeri al suo presidente, dopo 24 mesi di forzato stop e con alle spalle un’esperienza con il calcio svizzero, non proprio simile al nostro, il mister lombardo, nato l’8 ottobre 1953 a Gorlago, paese di poco più di cinquemila abitanti della provincia di Bergamo, non riuscì mai a convincere con il proprio gioco ed il suo atteggiamento i tifosi monzesi.

 

Questo, dopo aver lasciato decisamente perplessi pure quelli ticinesi nella precedente avventura. A Lugano era approdato nel giugno 2013 ed aveva tolto le tende il 29 settembre dello stesso anno, a seguito di 4 sconfitte consecutive in campionato. A Monza sostituì, in Serie D, Alessio Delpiano per un paio di mesi abbondanti, per ritornargli la panchina l’8 marzo 2016, su invito del presidente Nicola Colombo, particolarmente deluso dai risultati della sua squadra.

 

Tanti nomi “lanciati”

 

Prima delle brevi presenze in terra svizzera e nel capoluogo brianzolo, Salvioni aveva guidato il Seregno, il Crema, la Vastese, il Parma, il Nizza, il Cosenza, il Verona, il Lumezzane, il Calcio Caravaggese, l’Ancona, la Triestina e l’AlbinoLeffe. Nella città della Costa Azzurra, dove ha allenato dal 2000 al 2002, gli sportivi francesi lo ricordano ancora per la storica promozione della squadra locale in Ligue 1, conquistata al termine della sua seconda stagione in panchina.

 

Tra i giocatori più celebri tenuti a battesimo dal tecnico bergamasco si annoverano: un giovane Buffon nella Primavera del Parma, Barone, diventato poi pure lui campione del mondo, Balotelli, fatto esordire a 15 anni con il Lumezzane, ed Evra, avuto in rosa al Nizza. Quest’ultimo, prima di iniziare la sua gloriosa ascesa e dopo tante insistenze del mister per vincere la contrarietà del giocatore al cambiamento di ruolo, fu da lui trasformato clamorosamente da attaccante in difensore.

 

Sembra che il quarantaduenne Patrice Evra, vicecampione d’Europa nel 2016 con la nazionale francese, ritiratosi l’11 novembre dello stesso anno dopo l’incontro con la Svezia (con il magro bottino di zero reti in 81 gare disputate), in attesa di prendere il patentino da allenatore (attualmente è assistant coach nella sezione Under18 del Manchester United), non perda mai occasione per sottolineare il merito di Salvioni per la svolta nella sua prestigiosa carriera. 

 

Il disastro del Ciliverghe

 

Il 10 febbraio 2016, al “Brianteo”, nella conferenza stampa al termine della partita di campionato persa in casa dai biancorossi 1-3 contro il Ciliverghe Mazzano, una sua surreale frase divenne storica. Eccola: «La partita è stata brutta, ma il Ciliverghe è una buona squadra e non c’è nulla di cui vergognarsi a perdere con loro; lo so che noi siamo il Monza, ma bisogna considerare che tutte le squadre quando vengono al “Brianteo” giocano al mille per mille».

 

Io, dalla parte sinistra della prima fila della Sala Stampa Angelo Corbetta, il collega Stefano Peduzzi, da quella di destra, entrambi in piedi ed indignati di fronte all’assurdità dell’irriverente paragone fatto tra la nostra società e quella avversaria, lo rimproverammo aspramente, sotto gli sguardi esterrefatti dell’addetto stampa Marco Ravasi, seduto accanto a lui dietro al bancone.

 

Il direttore di MonzaNews, nell’occasione, gli ricordò anche come i calciatori normalmente vengano chiamati dai propri trainer per nome e non per numero di maglia, come era solito fare lui (“Il mio 2 si è perso spesso la marcatura, il 7 lo volevo più indietro ed il 9 doveva essere più incisivo”), pure dopo diverse settimane di lavoro al Monzello in gruppo.

 

Per inquadrare realisticamente l’entità della incredibile sconfitta, al di là del differente potenziale tecnico riconosciuto sulla carta ai padroni di casa, bastava infatti riflettere anche su alcuni aspetti logistici ed organizzativi degli avversari. In particolare, la squadra bresciana della frazione di tremila anime del comune di Mazzano, per poter disputare gli incontri interni di campionato, doveva recarsi, inevitabilmente, in un piccolo campo in erba sintetica in località Molinetto, con una sola tribunetta a disposizione dei tifosi e con la postazione per la stampa posizionata sul tetto di un piccolo prefabbricato quadrato adibito a bar dell’improvvisato centro sportivo.

 

Particolare curioso, a fine partita, tutte le sedie per i giornalisti, come da ferree indicazioni scritte e ben esposte, erano da riportare sistematicamente nel locale sottostante dagli stessi rappresentanti della carta stampata e dei siti web presenti. Situazione non certo comparabile a quella offerta dal pur cadente “Brianteo” ad ogni gara!

 

Enzo Mauri