Alfredo Magni: “l’ultimo capitolo”

A cura di Enzo Mauri

 

Continua il viaggio tra i ricordi della vita biancorossa di Alfredo Magni, eccoci l’ultimo capitolo.

 

La preziosa eredità calcistica, almeno per quanto riguarda passione e cuore, di Alfredo Magni, ormai collaudato nonno nella sua graziosa villetta, immersa nel verde della Brianza, è passata già da parecchi anni al figlio Michele. Validissimo professionista, fisico ben messo, sempre sorridente, distinto come il padre, stessa fisionomia, ma, soprattutto, pure lui tifoso irriducibile dei biancorossi. 

Domenica 5 novembre, all’ora di pranzo, il simpatico brianzolo dal nome decisamente ingombrante nell’ambito del football lombardo, era puntualmente presente in tribuna, allo Stadio Bentegodi di Verona, accompagnato dalla moglie Silvia, ad incitare il Monza, impegnato in trasferta contro l’Hellas nell’undicesima giornata di campionato. Considerando il rotondo risultato conseguito dai biancorossi, c’è da ritenere Magni junior una sorta di vero e proprio amuleto, da portare certamente al seguito dei supporter di casa anche per le prossime occasioni.

 

Particolare curioso, il figlio di Alfredo si chiama Michele, proprio come uno dei tre figli di Valentino Giambelli, il compianto presidente del Monza che a fine anno del 1983 richiamò il trainer di Missaglia sulla panchina biancorossa e che molti tifosi brianzoli, ai tempi dei drammatici fallimenti della società, accusarono di mancato coraggio per non essersi proposto come possibile acquirente, nonostante i consistenti capitali di famiglia, dando così un seguito alle epiche gesta del padre.

 

Inaspettato ritorno

 

Tra i tanti momenti belli vissuti con il Monza, Alfredo Magni non ha mai dimenticato, oltre alle prime partite vissute sulla panca monzese, la chiamata del 26 gennaio 1975 per la possibile sostituzione di Mario David, dopo l’ultima giornata del girone d’andata, caratterizzata al Sada da un pareggio in bianco contro il Vigevano.

 

«Non pensavo minimamente di poter guadagnare la guida della prima squadra in così breve tempo. Io avevo 34 anni e stavo allenando la “De Martino” (equivalente alla Primavera di adesso, ndr)».

 

«Anche quando le cose non andavano troppo bene e la panchina di David sembrava sempre più barcollante, la mia convinzione era che i dirigenti del Monza avrebbero optato, in caso di sostituzione, per un tecnico ben conosciuto, come avevano fatto dopo l’esonero di Pivatelli. Le intenzioni del Consiglio me le comunicò Vitali, telefonandomi a casa all’una di notte, con da poco concluso il giorno del poco convincente 0-0 interno dei biancorossi contro il modesto Vigevano».

 

«Rimasi sbigottito e preoccupato dallo squillo, decisamente fuori orario comune. Solo una volta appurato che tutti gli amici, a partire da lui stesso, stessero bene, chiesi i motivi della insolita chiamata. La sua proposta mi sembrò una cosa meravigliosa, anche se inizialmente fui propenso più a credere ad uno scherzo di pessimo gusto che ad una vera opportunità offertami».

 

«Ben presto, però, mi resi conto che “Giorgione” parlava seriamente e che per me era quindi giunto il momento della verità. Mi trovavo proprio di fronte ad un sogno precocemente realizzato».

 

«Ero perfettamente consapevole del rischio che correvo accettando l’incarico, ma avevo le mie buone ragioni per tentare, sebbene la squadra versasse in condizioni preoccupanti».

 

«Il presidente Cappelletti, del resto, mi chiedeva semplicemente di agire in armonia e serenità coi giocatori, per far superare al gruppo il brutto periodo di crisi che lo attanagliava, senza pretendere da me grandi cose. Io, più positivo di lui, ero, invece, fermamente convinto che, con il piano di lavoro da me scrupolosamente preparato, sarebbero arrivati ben presto anche il gioco ed i risultati». 

 

La svolta

 

«Dopo la partita di Casale, nonostante la gravità della sconfitta, non pensai a nulla di particolarmente drammatico, in quanto, in coscienza, sapevo benissimo che i ragazzi non avrebbero potuto assimilare in pochi giorni un cambio d’allenamento così radicale come quello da me imposto. Poi, già a Busto in Coppa Italia, al di là dell’immeritato risultato negativo, notai dei sensibili miglioramenti da parte di tutti. Evidentemente si incominciavano ad intravedere i primi frutti del mio duro lavoro».

 

«Quindi, pochi giorni dopo contro il Piacenza, il Monza, forse punto anche nell’orgoglio, fece quell’impennata che sinceramente mi aspettavo. All’inizio della settimana, con pagamento del conto a carico dei giocatori, io e Vitali avevamo convocato la squadra al completo in un ristorante di Villasanta, per iniziare un aperto e chiarificatore dialogo con tutti. In poche parole, attribuirei, però, il merito del successo conseguito contro gli emiliani alla preparazione atletica ed ai nuovi schemi di gioco messi in atto».

 

Interessante anche il pensiero d’allora di Alfredo Magni sull’inusitata campagna giornalistica a favore del Monza, esplosa subito dopo i primi esaltanti risultati ottenuti sul campo dai suoi giocatori, nonché sui paragoni più stimolanti avanzati da più parti per lui: «Campagna giornalistica esagerata! Per essere sincero, avrei preferito un po’ più di umiltà da parte di tutti. Dal canto mio, posso assicurare di aver speso pochissime parole coi vari giornalisti nelle interviste concesse».

 

«Ritengo che, in molti casi, gli articoli in questione abbiano semplicemente subito degli strani rigonfiamenti nelle redazioni.  Evidentemente, le troppe amarezze subite in passato dai biancorossi devono aver influito sul presidente, consiglieri e direttore sportivo, che, davanti agli ultimi positivi risultati, non hanno trovato di meglio che farsi trascinare da una ventata di ottimismo. Fortunatamente, però, la propaganda non ha minimamente creato pericolose esaltazioni tra i giocatori, rimasti saggiamente coi piedi ben saldi a terra».

 

«Per quanto riguarda i paragoni più adeguati con altri miei più celebri colleghi, posso dire di sentirmi vicino, come mentalità, a Bersellini e d’aver assimilato parecchio dal lavoro di Radice, mio allenatore quando avevo 24-25 anni. Nessun punto in comune trovo, invece, con Marchioro!».

 

Poco meno di quarant’anni dopo aver rilasciato queste dichiarazioni, nel corso di una sentita commemorazione presso il cimitero di Monza in occasione del trentesimo anniversario della morte del “Sciur Giuan”, Alfredo Magni, in una fredda mattinata di fine febbraio del 2016, fu ancora una volta protagonista.

 

Alla presenza di una cinquantina di sportivi, dell’ex direttore sportivo Giorgio Vitali, del grande capitano d’allora Franco ‘Jimmy’ Fontana, del centrocampista jolly Fiorino Pepe, del ‘pres’ in carica Nicola Colombo, accompagnato dall’addetto stampa Marco Ravasi, del super tifoso Angelo Scotti, ideatore e promotore dell’evento, di tutto lo stato maggiore del Monza Club, di alcuni giornalisti  locali e della figlia Renata, al fianco di altri famigliari, l’ex trainer brianzolo, ad un certo punto, prese inaspettatamente la parola. Questo il sentito pensiero rivolto al suo vecchio ed amato presidente, pure con una curiosa allusione alle mancate promozioni del Monza in Serie A: «𝐶𝑎𝑝𝑝𝑒𝑙𝑙𝑒𝑡𝑡𝑖, 𝑝𝑒𝑟 𝑚𝑒, 𝑒̀ 𝑠𝑡𝑎𝑡𝑜 𝑢𝑛 𝑝𝑎𝑑𝑟𝑒. 𝐸𝑟𝑎 𝑢𝑛 𝑢𝑜𝑚𝑜 𝑠𝑡𝑟𝑎𝑜𝑟𝑑𝑖𝑛𝑎𝑟𝑖𝑜! 𝐶𝑜𝑛 𝑙𝑢𝑖 ℎ𝑜 𝑡𝑟𝑎𝑠𝑐𝑜𝑟𝑠𝑜 𝑎𝑛𝑛𝑖 𝑚𝑒𝑟𝑎𝑣𝑖𝑔𝑙𝑖𝑜𝑠𝑖. 𝑃𝑢𝑟𝑡𝑟𝑜𝑝𝑝𝑜… 𝑠𝑖𝑎𝑚𝑜 𝑎𝑛𝑑𝑎𝑡𝑖 𝑎 𝑅𝑜𝑚𝑎, 𝑠𝑒𝑛𝑧𝑎 𝑣𝑒𝑑𝑒𝑟𝑒 𝑖𝑙 𝑝𝑎𝑝𝑎!».

 

Enzo Mauri

 

Foto: Caprotti